Prendo spunto dalla lettura estiva di un libro, “l’Economia della ciambella” della docente universitaria di Oxford Kate Raworth, per fare alcune considerazioni sui modelli economici che stanno imperando in questo inizio millennio, modelli che oramai di fatto sono uno solo, quello del liberismo senza limiti, dell’omologazione, del precariato come nuovo modello economico fondato sulla schiavitù diffusa.

Quello che mi ha colpito da subito di questo libro sono sia il titolo che la copertina. La ciambella infatti evoca un utile accessorio per salvarsi dall’annegamento, dallo sprofondare negli abissi, e il contenuto è un po’ la ricetta per galleggiare nell’affrontare questo mondo ormai pervaso da logiche autodistruttive.

In primo luogo mi viene in mente la “crescita”, questo mantra che i governi europei cercano di instillarci ogni giorno, questo obiettivo legato ad un concetto tanto esile quanto sterile, se paragonato al concetto di sviluppo.
Il concetto di crescita si riferisce unicamente al parametro economico e a nient’altro. “Sviluppo” invece è un obiettivo ben più interessante perché coinvolge tutta una serie di altri valori che non c’entrano necessariamente con l’economia, ma che ne sono correlati.

Vi faccio un esempio molto immediato: quando incontriamo per strada una ragazza o un ragazzo che conosciamo e che è nella fase adolescenziale ne misuriamo ad occhio solo la crescita, ovvero l’altezza rispetto all’ultima volta che l’abbiamo incontrato. Quando ci sediamo a parlare con lei/lui e notiamo dai suoi discorsi che i suoi ragionamenti stanno tendendo alla maturità, pensiamo a come si stia sviluppando. Lo sviluppo è quindi l’insieme di tanti valori a cui dovrebbe tendere una società, crescere solo d’altezza e rimanere dentro dei bambini serve a poco, anzi è un problema molto grosso.

Quindi perché non pensare di porre traguardi diversi e più lungimiranti, come quello di cambiare gli obiettivi del PIL inserendovi i parametri del benessere degli uomini quali ad esempio la libertà, il rispetto dei diritti, la salute?
Oppure perchè non progettare già pensando a come redistribuire per minimizzare le diseguaglianze sociali, anziché sperare che lo faccia il mercato, visto che è ampiamente dimostrato che ciò non succede?
E inoltre perchè non spingere sul “creare per rigenerare”, ovvero schiacciare l’acceleratore dell’economia circolare quale soluzione per abbassare il livello raggiunto del degrado ambientale?
E’ chiaro che in tutto ciò un ruolo chiave ce l’ha lo stato, l’unico che può avere a cuore tutte le fasce sociali e che se ben guidato può traghettare le società verso questo cambiamento.
Tutto sommato l’autrice di questo saggio non lo scrive esplicitamente, ma tra le sue righe si legge chiaramente un principio molto caro a noi del M5S: nessuno deve rimanere indietro.
E se dal 2018 come mi auguro governeremo l’Italia, sarà il nostro grande obiettivo.