Lo scorso 12 agosto ho partecipato a Monfalcone all’incontro di Legambiente “Per qualche tanica in più: l’insensata corsa all’oro nero nei mari italiani”. Recenti studi parlano di nuovi giacimenti di idrocarburi nel Mar Adriatico. Le stime di quanto petrolio ci sia sono controverse, alcuni sostengono si possano esaurire in un paio d’anni, altri in oltre una decina.

Fatto sta che, tra i paesi che si affacciano sull’Adriatico, sembra partita la corsa a chi prima riuscirà a metterci le mani sopra attraverso la costruzione di decine di piattaforme di estrazione. Sicuramente per qualcuno ciò rappresenterà un fonte di ricchezza.

Io non posso che esprimere invece la mia contrarietà a questo progetto che mette a serio rischio l’ambiente e tutto il comparto turistico. Infatti, non solo le fisiologiche perdite di greggio di questi impianti, ma un eventuale incidente, possono essere causa di un disastro ambientale irreversibile.

Quello che dobbiamo da subito pretendere, quantomeno per mettere un freno a questa corsa, è il rispetto delle modifiche alle Direttive Europee varate nel 2013 (A7-01212013 “Sicurezza delle attività offshore di prospezione, ricerca e produzione nel settore degli idrocarburi”) che obbliga nuovi standard di sicurezza. In pratica il concessionario delle operazioni di estrazioni deve garantire la copertura economica affinchè
– devono essere intraprese azioni preventive,
– il danno ambientale deve essere risolto prioritariamente alla fonte
– chi inquina deve pagare.

A livello italiano chiedo al Ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi di modificare il Decreto di “Riordino delle zone marine aperte alla ricerca e coltivazione di idrocarburi” affinchè siano vietate attività offshore entro le 12 miglia da tutte le coste e le aree protette non solo per le nuove richieste, ben poche, ma anche per quelle in itinere, di numero ben più consistente.

L’idea di futuro che mi immagino è incentrato sulle Energie Rinnovabili, un comparto che offre 5 volte in più posti di lavoro rispetto a quello degli idrocarburi.