Ho chiesto mi fosse ospitato un secondo intervento sull’ospedale di Pordenone perché temo di non essere riuscito ad evidenziare tre fattori che dovrebbero essere, a mio avviso, sempre centrali quando ci accingiamo ad impiegare risorse della collettività.

  1. L’ attuale livello di cattivo utilizzo delle risorse disponibili;
  2. L’entità delle risorse a disposizione;
  3. La priorità tra i molteplici possibili impieghi.

 

Il dibattito non ha i crismi dell’oggettività ed è addirittura ingannevole se non è connotato dai tre fattori su indicati.

Il dilemma non può essere solo dove costruire o ristrutturare e quanto costa l’ospedale (200, 274, 400 o addirittura 500 milioni di euro) ma quando e quindi con quale priorità rispetto ad altre necessità pendenti in questo momento.
Sembra ovvio ma è bene precisarlo che tale comportamento deve valere per tutta la Regione e non solo per Pordenone.

Vorrei porre innanzitutto all’attenzione dei responsabili politici Regionali, Provinciali e Comunali un assioma: se lasciamo degradare le strutture produttive della Regione che, fino a prova contraria, dovrebbero essere le produttrici della ricchezza finirà che non avremo più risorse ne per costruire o ristrutturare ne mantenere i servizi del nosocomio.
Siamo un paese che nel 2012 ha prelevato il 54% del Pil e nonostante ciò ha continuato ad indebitarsi per mantenere un sistema burocratico pletorico inefficiente. Serve altro per dimostrare che chi ci governa a tutti i livelli ha l’obbligo di razionalizzare subito il sistema al fine di ricavare dall’eliminazione di questa ipertrofia le risorse.

Desidero dimostrare che tutti i livelli istituzionali, con l’apporto del sindacato, hanno partecipato alla formazione dell’elefantiasi. Ho fatto, dal 1970 al 1980, l’amministratore in un comune di 6.500 abitanti diventati oggi circa 8.000. Nella prima metà degli anni settanta la compagine dei dipendenti comunali era la seguente: 1 segretario, 2 in ragioneria, 3 all’anagrafe, 1 vigile messo, 1 medico, 1 veterinario, 1 ostetrica, 3 operai e 6 bidelle delle scuole elementari. Totale 19 dipendenti che sono diventati 21 e poi 22 con l’assunzione successiva di 2 geometri e un secondo vigile.
Oggi i lavoranti in comune (diretti + indiretti) sono 52-53 ai quali si devono aggiungere 9-10 medici (quelli di base più quelli del lavoro).
Tre volte tanto (62-63 a fronte di 21-22). Ma 4 volte tanto se si considera che le bidelle delle scuole elementari sono oggi a carico dello Stato e perciò oggi i numeri sono 62-63 a fronte di 15-16 negli anni settanta.
Può darsi che negli anni settanta siano stati troppo pochi i dipendenti del mio comune ma ho l’impressione che negli anni successivi si sia esagerato. So di dire cose spiacevoli e forse anche fastidiose ma ritengo un dovere far presente la realtà.

Possiamo ancora promettere e non attuare l’accorpamento dei Comuni ma anche l’accorpamento di alcune Regioni?
Possiamo permetterci nelle due valli Cellina e Tramontina 22 Municipi con 47.000 abitanti e a Prata-Pasiano e Brugnera 3 unità amministrative con 26.000 abitanti?
Teniamo pure i campanili ma unifichiamo le strutture amministrative. E’ urgente razionalizzare anche perché chi lavora a produrre ricchezza non ce la fa più a mantenere cotanta burocrazia dai costi diventati veramente insopportabili.

Sono convinto che stia arrivando il momento durante il quale saranno chieste le motivazioni della mancata eliminazione degli sperperi e dei costi inutili.
Al Presidente della Provincia vorrei dire che mi sembra possibile per l’opinione pubblica accettare una pausa per il grande investimento facendo però presente che, l’attuale ospedale coadiuvato da quelli della rete mandamentale e con una manutenzione efficace, può svolgere ancora un servizio sanitario sufficiente e perciò accettabile.

Vorrei ora motivare la priorità dell’investimento nella struttura industriale e come attuarla.
La crisi morde talmente tanto che ha sfoltito il sistema industriale provinciale e regionale di numerose aziende di tutti i settori produttivi con una vera e propria falcidia dell’occupazione. E sta mettendo a dura prova anche la sopravvivenza di quelle aziende che ancora riescono, nonostante tutto, a resistere.
Al Vicepresidente della Regione vorrei esternare la mia convinzione circa l’assoluta priorità di impiegare, a salvaguardia e ripartenza di tali aziende, le risorse disponibili e a sua tranquillità ritengo che anche l’opinione pubblica condividerebbe tale scelta.
Alla Presidente della Regione vorrei far presente che ha uno strumento finanziario (FRIULIA) in grado di intervenire efficacemente purché venga dotato di risorse adeguate, magari dirottate da impieghi meno prioritari. Friulia ha anche il crisma della tempestività negli interventi essenziale per le aziende industriali in crisi ma che possono ripartire. Friulia ha poi una prerogativa che altri istituti di credito non hanno e cioè quella di entrare temporaneamente con una certa percentuale nel capitale delle aziende portando risorse fresche e delle professionalità di cui spesso le piccole e medie aziende hanno estremo bisogno. Vorrei anche ricordare che Friulia, purché il legislatore lo predisponga nel regolamento, può fra l’altro esercitare una determinante e benefica spinta all’aggregazione tra aziende in quei settori, come l’arredamento, nel quale con la messa in rete di più aziende complementari è possibile raggiungere le dimensioni indispensabili all’internazionalizzazione e all’inserimento, con probabilità di successo, negli enormi mercati globali. Un contratto di aggregazione tra aziende, a parità di condizioni di sviluppo, deve perciò agevolare l’entrata in partecipazione di Friulia con le singole aziende. Va infine precisato che la partecipazione di Friulia deve essere preceduta da una rigorosissima istruttoria dalla quale risulti senza equivoci la validità dell’investimento.

Credo sia a conoscenza di tutti i responsabili politico-amministrativi quanto le risorse siano tremendamente scarse; sarebbe perciò imperdonabile venisse sbagliata la priorità dell’impiego. Non è difficile capire che il sostegno alla struttura produttiva regionale in difficoltà viene decisamente prima di un ospedale che oggi dà un buon servizio ma che per migliorarlo si può anche procrastinarne la costruzione.
Senza dimenticare però che, l’immediata eliminazione di costi inutili, sprechi ed inefficienze, devono essere il prologo di qualsiasi iniziativa per non conservare, per le aziende, un Habitat impossibile che, come un cancro, continuerebbe a divorare qualsiasi risorsa venisse impiegata. E’ difficile ma siamo obbligati a farlo pena l’inesorabile declino e l’emarginazione dal consesso delle Nazioni che contano.

Prata di Pordenone, 30 agosto 2013
Angelo Piccinin