Nei giorni scorsi sono andato a trovare gli amici di Garda, in provincia di Verona, per parlare delle prospettive dell’olivicoltura. Un’eccellenza radicata nel territorio, tanto che il versante veneto del lago di Garda è noto proprio come Riviera degli ulivi: esportazioni, prestigio, ma anche occupazione derivano dalle colture del luogo, rinomate in tutto il mondo.

Eppure, gli imprenditori del settore agricolo – qui come altrove – si trovano in difficoltà. Perché? Il primo nodo da sciogliere è quello della burocrazia, come ho spiegato nel corso del mio intervento: sembra quasi che ci sia il tentativo di mettere i bastoni tra le ruote a quei produttori che, con il proprio lavoro e spesso anche con innovazioni tecniche che potrebbero successivamente essere esportate su scale più larghe, danno lustro a un territorio, immettendo sul mercato prodotti di altissima qualità. Il sistema, in questo modo, non favorisce né il primo anello della catena (il produttore), né l’ultimo (il consumatore), che dalla minor diffusione di produzioni di alta qualità e magari certificate è certamente danneggiato.

Da qui, un problema: la competizione sui mercati si trascina quasi esclusivamente – o quantomeno in maggior misura – sul prezzo. In un contesto così globalizzato, dobbiamo invece ribaltare questa prospettiva, puntando alla qualità, a misure che rispettino l’ambiente, che siano sostenibili, ma che tengano conto contestualmente della dignità di chi lavora.