Apriamo i giornali, accendiamo la televisione, e ci rendiamo conto che l’economia collaborativa, insieme alla globalizzazione, è diventata la tematica principale per quanto riguarda l’evoluzione del mercato del lavoro europeo. Spesso però, lo è diventata in modo problematico, quasi polemico direi, come fonte di preoccupazione e acceso dibattito. E questo anche per un certo approccio da parte dell’informazione generalista che tende ad enfatizzare le contrapposizioni sociali che ne derivano.

Io però credo che in questa sede sia doveroso da parte nostra non cedere alla facilità della semplificazione, del dipingere la questione come se si trattasse di uno scontro tra categorie: da un lato i “conservatori” che quasi come dei nuovi luddisti si oppongono ad ogni novità, e dall’altro gli “innovatori” che vogliono invece spazzare via il mondo che conosciamo. Non si tratta di scegliere un campo, a danno dell’altro. Si tratta di comprendere appieno un fenomeno e di regolamentarlo.

Perché questo deve essere ben chiaro: laddove esistono delle regole che normano un determinato settore, esse esistono per garantire la tutela ed il massimo benessere possibile per la comunità nella sua interezza. E queste regole vanno mantenute, migliorate, se del caso. Ovvio che invece, qualora esistano delle regole che hanno il solo scopo di fissare dei privilegi, delle rendite di posizione per specifiche categorie senza nessun beneficio per la comunità, esse non hanno ragione di essere conservate.

Non possiamo permettere, perciò, che i nuovi modelli economici dell’economia collaborativa permettano a chi offre un servizio di eludere le norme fiscali, o quelle che riguardano la tutela economica e la sicurezza dell’utente e del lavoratore (pensiamo ad esempio alle coperture assicurative): abbiamo impiegato decenni a costruire un sistema in cui sono ben chiare responsabilità e limiti, e non dev’essere questo il pretesto per smantellarlo. Ma una volta confermati questi principi, sarebbe inutile ed anzi dannoso opporsi all’emergere di nuove imprenditorialità.

Dagli emendamenti presentati nella nostra Commissione emerge come opinione condivisa che siano poi necessarie delle regole nuove, specifiche per le problematiche proprie di questo settore. Sono tuttavia convinto che la scelta migliore non sia quella di un approccio unico, complessivo: all’interno del macrosistema dell’economia collaborativa infatti incontriamo situazioni assai differenti. Ciascuna di queste tipologie necessita un’analisi e delle soluzioni appropriate. Soluzioni che, proprio in virtù di queste peculiarità, e della dimensione spesso locale del servizio offerto, dovrebbero essere prese appunto di concerto con le autorità locali, che meglio conoscono le caratteristiche, soprattutto sociali, del territorio. In questo modo potremo assicurarci norme “su misura”, che non provochino distorsioni. Un esempio su tutti: quando parliamo di soglie di reddito per determinare quando possiamo parlare di attività imprenditoriale e quando no, devono essere evidentemente legate alle caratteristiche economiche del territorio di cui stiamo parlando.

Si tratta insomma di un tema molto complesso ma per questo anche molto interessante, e credo che non dobbiamo lasciarci sfuggire l’occasione che sia il Parlamento a “tracciare la strada” con questo report d’iniziativa, portando avanti le idee e le domande che arrivano dai cittadini.