Uber è un servizio di trasporto privato a metà tra il taxi e il noleggio di auto con autista: un’applicazione per smartphone invia automaticamente le coordinate GPS del cliente al centralino, calcola in anticipo la tariffa della corsa e la addebita poi sulla sua carta di credito.

La società è stata fondata quattro anni fa a San Francisco, ha ricevuto un sostanzioso investimento da Google, è arrivata a Roma e Milano lo scorso aprile e ha avuto un certo successo. A chi la usa piace molto per la facilità con cui aiuta a trovare un’auto libera, e per la qualità e capillarità del servizio.

Di Uber, tuttavia, si è parlato molto anche per le proteste che ha causato tra i tassisti, che l’hanno accusata – In Europa come negli Usa – di concorrenza sleale, poiché gli autisti di Uber non sono soggetti alla normale licenza per tassisti, che costa tra i 150 e i 200 mila euro.

Per Altroconsumo Sharing è essenziale per consumatori – A giugno, l’associazione Altroconsumo ha depositato al Tribunale di Milano un reclamo contro il blocco del servizio ordinato dallo stesso Tribunale, in quanto stimola “prezzi competitivi” e “raccoglie nuove sacche di utenza”. Per cui “impedirne l’esercizio è contrario agli interessi dei consumatori”.

Un salvagente lavorativo contro la crisi – Uber rappresenta un salvagente per molte famiglie di fronte alla crisi e per molti giovani che possono così crearsi un lavoro a livello indipendente, per certi versi paragonabile ad un’attività freelance. Per molti giovani Uber rappresenta anche la possibilità di entrare in un mondo del lavoro, che altrove non li accoglie.

Ascolto dei cittadini – L’affidabilità dei guidatori di Uber si basa sui giudizi forniti da chi ha usato il servizio: il cliente ha a disposizione una scala da 1 a 5 stellline. Va da sé che sia i guidatori che Uber hanno tutto l’interesse a ben figurare con i cittadini.

Ma oltre a questi vantaggi, Uber ha anche diverse zone d’ombra, alle quali l’Europa non sa rispondere.

Marco Zullo M5S Europa uber tassisti sharing economy

1-UBER TUTELA I CITTADINI TRASPORTATI?

Per i consumatori sono necessarie regole chiare, che li tutelino. Ma ad oggi siamo ancora lontani da una completa trasparenza in tema di assicurazioni. A seguito di un recente caso giudiziario in California, Uber afferma di aver esteso la propria assicurazione taxi – un particolare tipo di RC Auto – a tutti i conducenti che abbiano il dispositivo satellitare per la ricerca dei clienti inserito, indipendentemente dal fatto che stiano o meno trasportando qualcuno. Ma sia negli Usa che in Europa Uber si è rifiutata di fornire dettagli sul contratto RC Auto siglato con le assicurazioni. Un atteggiamento che pone molti interrogativi sull’effettiva tutela dei cittadini trasportati, ma anche degli stessi conducenti.

2-UBER TUTELA I PROPRI GUIDATORI?

Uber si considera una piattaforma tecnologica che aiuta a compiere transazioni commerciali tra privati, mettendo solo in contatto due esigenze diverse: coloro che vogliono prestare un servizio (guidatori) e coloro che vogliono usufruirne (passeggeri).

Ma nella realtà Uber non si comporta proprio così: prende anche una “commissione” da ogni corsa effettuata dal proprio guidatore. Non si limita, quindi, a mettere in contatto cliente e guidatore, ma guadagna dal lavoro del guidatore.

Non solo. Secondo molti studiosi il rapporto tra Uber e i suoi guidatori è comparabile a quello che intercorre tra un’azienda e i suoi lavoratori, magari lavoratori freelance, che però con l’azienda collaborano costantemente.

Alcuni esempi partici. Uber aumenta le sue tariffe negli orari di punta anche per incentivare gli autisti registrati a lavorare in quegli orari di maggiore richiesta. Secondo De Groen e Maselli (Centro europeo di studi politici) i guidatori di Uber devono accettare almeno il 90% delle richieste di viaggio, effettuare almeno una corsa ogni ora in determinate fasce, e collegare il sistema di ricerca clienti almeno 50 minuti in ognuna delle ore considerate “di punta” dall’azienda.

Sempre secondo i due studiosi, i guidatori non sarebbero in grado di rifiutare tariffe basse, anche se talvolta la tariffa minima di corsa fissata da Uber non copre i costi del guidatore. In caso di rifiuto a certi passeggeri, i guidatori rischiano di essere sospesi da Uber. La sospensione può arrivare anche quando il rating (la valutazione) lasciato dagli utenti scende sotto una certa soglia.

Sui costi, Uber prende una commissione su ogni singola corsa del guidatore che si aggira tra il 20 e il 30%. I guidatori devono anche accollarsi il rischio che un passeggero reclami i soldi della corsa. Per loro, provare di non aver fatto un torto al passeggero è complicato, tanto che molti guidatori hanno cominciato ad installare videocamere per autotutelarsi.

Inoltre, il fatto che sia Uber a tenere tutti i contatti, impedisce al guidatore di conoscere le identità di altri guidatori nelle loro condizioni. I guidatori, quindi, sono isolati, non possono scambiarsi esperienze e informazioni utili per il loro lavoro.

Uno studio del Parlamento Europeo del 2016 raccomanda di includere chi presta servizi per piattaforme di sharing economy (come i guidatori di Uber) tra i lavoratori autonomi. Ma se i guidatori sono lavoratori autonomi sono da considerarsi professionisti? Lo sono sopra una certa soglia? Hanno diritto ad un salario minimo, ferie pagate e pausa regolamentata tra un turno e l’altro?

E se sono lavoratori autonomi, non dovrebbero avere il diritto di portarsi dietro i loro giudizi positivi se il giorno dopo decidono di passare alla concorrenza (la cosiddetta data portability)? Anzi, non dovrebbero poter lavorare contemporaneamente per Uber e per la concorrenza?

Di fronte al dilemma se Uber sia Società di trasporti o società di servizi digitali, una prima risposta importante arriverà dalla Corte di Giustizia Europea, che si pronuncerà a dicembre. Se Uber verrà considerata una compagnia di trasporti, dovrà essere regolata alla stregua dei taxi. Se verrà considerata un fornitore di servizi online potrà invece sottrarsi a molte regole.

3-UBER PAGA LE TASSE? E I GUIDATORI?

Se i guidatori non sanno a quale categoria appartengono non sanno quante tasse devono pagare. Di più: non sanno se sotto una certa soglia sono tenuti a NON PAGARE le tasse o se stanno lavorando in nero. Su questo punto, gli Stati europei si stanno orientando diversamente. Ma senza un orientamento comune rischiamo di avere situazioni diametralmente opposte in Paesi vicini. Situazioni che potrebbero causare diaspore di lavoratori.

Se parliamo di Uber invece, la situazione è abbastanza nebulosa. In Europa Uber ha diverse società (e sede legale) in Olanda, ma parte dei capitali della società sono alle Bermuda, noto paradiso fiscale.