La domanda di prodotti e servizi accessibili da parte dei cittadini con disabilità o limitazioni funzionali è già elevata e aumenterà in modo significativo nei prossimi anni, di pari passo con l’invecchiamento della popolazione dell’Unione europea. Nel 2020, in Europa ci saranno circa 120 milioni di persone con disabilità, se si comprendono le disabilità funzionali, come quelle legate alla vecchiaia e alla gravidanza.

Chi soffre di limitazioni funzionali, anche temporanee, come chi per un periodo non può camminare deve essere incluso all’interno di questa direttiva, visto che il nostro scopo, nel senso più ampio, deve essere quello di rendere prodotti e servizi accessibili a tutti e far sì che non ci siano cittadini di serie A e serie B. Il proposito di quest’aula dovrebbe essere: Nessuno deve rimanere indietro.

Per raggiungere questo obiettivo, la direttiva che stiamo discutendo deve poter dare dei vantaggi autentici nel mondo reale alle persone con disabilità e a chi soffre di limitazioni funzionali. Per questo spero che ci sia una visione comune attorno all’accessibilità dell’ambiente costruito. Perché se un ATM deve essere accessibile alle persone con disabilità, deve esserlo anche l’edificio in cui l’ATM è collocato. Se questo non accade, i vantaggi reali per le persone con disabilità si riducono drasticamente.

Altro punto di cui dobbiamo discutere sono le possibili deroghe. Le microimprese, specie in questo momento di crisi, non sempre hanno a disposizione competenze e capacità finanziarie tali da poter rendere accessibili i propri prodotti o servizi. Pertanto, non dovrebbero essere sottoposte a questa direttiva.

Discorso diverso per le Pmi. La raccomandazione 361/2003 della Commissione Europea definisce Pmi le imprese che possono avere fino a 250 dipendenti e 50 milioni di fatturato. Cifre piuttosto elevate per poter giustificare un’esenzione.

Ritengo poi che i consumatori debbano avere a disposizione più informazioni possibili, ma che una nuova etichetta, un marchio comunitario rischi di creare confusione. Senza contare che se creiamo un marchio all’interno di questa direttiva, saranno solo prodotti e servizi conformi a questa direttiva a poterlo avere. Ma non i prodotti considerati accessibili secondo i criteri stabiliti da altre normative che definiscono diversi requisiti specifici di accessibilità.

Ricordiamoci che questa direttiva deve semplificare la vita alle persone con disabilità, ma deve anche evitare di creare un marasma burocratico per i produttori. Deve quindi complementare le norme esistenti e non sovrapporsi ad esse.

Per concludere, vorrei ribadire che abbiamo bisogno di regole chiare e di controlli puntuali da parte delle autorità di sorveglianza di mercato. Abbiamo bisogno di coinvolgere le organizzazioni rappresentative delle persone con disabilità. Perché solo loro possono aiutarci a rendere la nostra società più accessibile e, dunque, più giusta.