Avevamo lanciato l’allarme con questo intervento in Commissione Mercato Interno e Protezione Consumatori, ma purtroppo il nostro appello è rimasto inascoltato. L’Europa non avrà l’etichetta con l’indicazione di origine degli ingredienti. In altre parole, il “Made In” non verrà tutelato.

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Dopo aver ricevuto il via libera del Parlamento Europeo ad aprile, il dossier sulla sicurezza dei prodotti che introduce l’obbligo di indicarne la provenienza si è arenato in Consiglio Europeo, come era già successo nel 2010. Il Consiglio è formato dai capi di stato e di Governo dei 28 Paesi dell’Unione. Fino al 31 dicembre lo guida
l’Italia, che aveva inserito la difesa del nostro manifatturiero tra le sue priorità. Dispiace constatare che, ancora una volta, agli annunci del Governo Renzi faccia seguito ben poco. Oltre ad essere presente su giornali e tv, il premier e i suoi ministri dovrebbero farsi sentire nelle stanze che contano. Invece la linea dell’Italia non è passata nemmeno questa volta, nonostante la forza del nostro manifatturiero che, seppur martoriato dalla crisi, è ancora il secondo d’Europa.
Questa è una sconfitta soprattutto per i consumatori. Scarsa tutela del “Made In” significa aumento delle frodi, rischio di infiltrazioni delle ecomafie, significa non sapere cosa mangiamo. Già oggi 1/3 dei prodotti agroalimentari con marchio Made in Italy contiene materie prime straniere, 2/3 dei prosciutti venduti come italiani, in realtà provengono da maiali esteri e 3/4 dei contenitori di latte italiani sono in realtà stranieri.
Troppo poco è stato fatto dall’Italia nel semestre. Lo dice tutto il mondo industriale, che in questi giorni ha largamente manifestato il proprio disappunto sui media. Ma uno spiraglio, seppur minimo, c’è. A inizio 2015, sotto la presidenza lettone, uscirà uno studio della Commissione Europea sull’impatto dei costi dell’introduzione della normativa con cui poter riaprire la discussione. Mi auguro che l’Italia non sprechi anche quest’ultima, preziosissima, chance.