Ieri ho partecipato al dibattito sulla proposta della Commissione Europea sulla procedura di notifica delle norme nazionali che rientrano nel campo della direttiva servizi, meglio conosciuta come direttiva Bolkestein.

In poche parole la Commissione parlamentare sul Mercato interno e la protezione dei consumatori (IMCO), di cui faccio parte, sta rivedendo la proposta della Commissione Europea, che verrà emendata attraverso il Report che stiamo discutendo e poi approvata come posizione del Parlamento. Si tratta di una direttiva che vuole modificare la” procedura di notificazione” prevista dalla Bolkestein.

La direttiva, che prende il nome da Frits Bolkestein, a suo tempo commissario per la concorrenza e il mercato interno aveva quale obiettivo quello della libera circolazione dei servizi e l’abbattimento delle barriere tra i vari Paesi. Il principio sembrerebbe facile e condivisibile ma così non è.

Vengo da un Paese, l’Italia, in cui l’applicazione di questa Direttiva ha causato non pochi problemi. E la Commissione Europea con questa proposta non contribuirà certo ad eliminarli. Tutt’altro.
Questa proposta di direttiva stabilisce infatti che qualunque disegno di legge a livello nazionale, regionale o comunale che riguarda l’accesso o l’esercizio di attività di servizi, deve essere notificata alla Commissione Europea almeno tre mesi prima dell’adozione di una legge, e non può essere adottata se non sono prima trascorsi altri tre mesi.
Parliamo dunque di sei mesi di dilazione degli iter procedurali di adozione delle leggi a tutti i livelli amministrativi. Trovo inaccettabile che i tempi di adozione degli atti legislativi, regolamentari e amministrativi vengano allungati da Bruxelles per permettere alla Commissione Europea che si occupa di questo tema, di controllare cosa si fa all’interno degli Stati.

Bene ha fatto il relatore ad eliminare, nei suoi emendamenti, gli ulteriori 3 mesi di “congelamento” della norma da parte della Commissione Europea, e bene ha fatto a sottolineare che una segnalazione trasmessa dalla Commissione ad uno Stato non deve impedire l’adozione di disposizioni legislative da parte dello stesso Stato.
Credo che per “blindare” questo principio dovremmo adottare altri passaggi. Innanzitutto è necessario cancellare nel testo in esame la parte che abroga l’articolo specifico che dispone in maniera esplicita che la notifica non osta a che gli Stati membri adottino la legge in questione.

In secondo luogo, dobbiamo modificare in maniera sostanziale l’articolo 7, che stabilisce che la Commissione Europea può chiedere allo Stato di astenersi dall’adottare la misura o persino di abrogare l’eventuale misura già in vigore. E può farlo attraverso una decisione, ossia un atto vincolante, direttamente applicabile.
In sostanza, parlando in termini molto espliciti, la Commissione Europea, grazie a questa norma, si sostituisce ai parlamenti nazionali, alle assemblee regionali, ai Comuni, e si sostituisce anche alla Corte di Giustizia Europea, un fatto gravissimo e inaccettabile.
In quest’ottica, non può essere sufficiente la proposta del relatore che propone di sospendere gli effetti di una legge statale qualora la Commissione Europea decida di portare tale legge in Corte di Giustizia. Una segnalazione della Commissione non può essere una presunzione di colpa.
L’ordinamento europeo ha già un forte strumento di controllo che risiede nella procedura di infrazione, attraverso cui far rilevare l’inosservanza di un principio di diritto europeo da parte di uno Stato membro. Non è giusto andare oltre.
Tra l’altro, la Commissione Europea non spiega nemmeno quali siano le conseguenze per Stati e amministrazioni locali che non rispettano la direttiva. L’Europa, quindi, non solo vuole essere libera di mettere il becco nei nostri affari locali, ma vuole anche essere libera di decidere quale sarà la punizione da infliggere a chi non si allinea al suo volere. Inaccettabile.
Vorrei infine segnalarvi come alcune Sentenze ( ad esempio a titolo di cronaca la n. 110/2016 del TAR dell’Emilia Romagna) negli ultimi anni abbiano cercato di porre un freno all’applicazione assoluta della Bolkestein per quanto riguarda lo stabilimento di attività commerciali nelle città, ridando, almeno in minima parte, ai Comuni e alle Regioni la possibilità di disegnare le città a misura dei cittadini del territorio.

Questa proposta di direttiva ignora queste sentenze e ignora un principio più ampio: se il livello europeo fagocita tutti gli altri livelli, compresi quelli regionali e comunali, non si sta cerco creando più Europa, ma si sta solamente aumentando il comprensibile risentimento da parte dei cittadini.
Altro elemento inaccettabile è il ribaltamento dell’onere della prova. Sono gli Stati e le amministrazioni a dover dimostrare che la norma adottata risulta in linea con la direttiva servizi. Ma come si può pensare che un’amministrazione comunale, già di per sé falcidiata dai tagli, abbia le risorse legali necessarie per controbattere alla Commissione Europea? O deve essere la singola autorità competente a livello nazionale per le procedure di notifica a farsi carico di tutte le istanze regionali e comunali?