Ridurre lo spreco alimentare

31/01/2017

migliorare la sicurezza alimentare

Ogni anno circa un terzo dei prodotti alimentari viene perso o sprecato lungo la filiera. Dove e come intervenire?

La settimana scorsa sono intervenuto in Commissione AGRI in merito al problema degli sprechi alimentari.

Questi si manifestano principalmente in due fasi conseguenti:  la prima è quella produttiva, cioè nella filiera alimentare, la seconda invece in quella del mancato consumo, la più evidente agli occhi dei cittadini. Entrambe però hanno un peso enorme e se fossero corrette potrebbe risolvere buona parte dei problemi alimentari del mondo. Ma a questo oggettivo malfunzionamento del sistema produttivo e di quello distributivo se ne aggiunge uno etico: infatti per alimentare impianti di produzione energetica spesso si utilizza “carburante” vegetale che in realtà è cibo.

A completare il quadro, se vi fosse un sistema di etichettatura che consentisse ai consumatori di comprendere l’origine dei prodotti e le loro effettive trasformazioni presumibilmente un acquisto consapevole aiuterebbe i cittadini ad orientarsi nei propri acquisti premiando le aziende che producono alimenti sulla base di principi sani sia dal punto di vista chimico e biologico che dal punto di vista etico, E oggi forse ci sarebbe sul mercato qualche azienda di meno che produce in modo spregiudicato.

Di seguito la traccia del mio intervento:

Ogni anno circa un terzo dei prodotti alimentari viene persa o sprecata lungo la filiera. Una quantità pari a tutta la produzione dell’Africa subsahariana. Una cifra che aumenta se pensiamo alla quantità di calorie: il 24%.

Secondo i dati diffusi dalla FAO, 510 milioni di calorie si perdono durante la fase di produzione vera e propria (il 32%) e 355 milioni nelle fasi immediatamente successive: ciò significa che più della metà di queste risorse sono sprecate ben prima di entrare nella filiera distributiva.

La situazione è ancora più grave se si considerano anche le risorse impiegate per la produzione del cibo che non viene più consumato: la terra, l’acqua, i fertilizzanti, senza contare le emissioni di gas serra. In sostanza l’ambiente è stato quindi inquinato, sfruttato o alterato invano.

Il cibo si spreca per mancanza di infrastrutture, strumenti per la conservazione e trasporto adeguati. Ma si spreca anche mettendo in competizione la produzione di biocarburanti, di biogas e di grandi quantità di mangime per animali con gli alimenti per l’uomo: competizione che in alcuni casi è fortemente sbilanciata verso gli interessi degli speculatori e dell’agribusiness.

Dal punto di vista della produzione, è sicuramente necessario puntare a innovazioni tecnologiche nella produzione agricola: migliorare le prestazioni nei campi e convertire in trasformati i prodotti che non rispondono agli standard di mercato, ad esempio. Ma anche passare dal sistema attuale, basato in larga parte sull’agricoltura industriale, a un sistema fondato invece sull’agricoltura familiare, di piccola scala e sostenibile, che restituisca il valore al cibo producendo solo la quantità necessaria, attento ai bisogni dei consumatori e dell’ambiente.

In questo senso si inserisce anche la problematica dell’etichettatura e di una adeguata informazione al consumatore: dati sull’origine degli ingredienti, sulle tecniche di produzione e trasformazione, permettono al consumatore di effettuare acquisti più consapevoli, influenzando così indirettamente anche i fattori della produzione, con positive ricadute in termini ambientali, economici e sociali.

Come riportato nella relazione, bisogna lavorare per fare meglio combaciare la domanda con l’offerta. Ma dev’essere un meccanismo che funziona in entrambi i sensi, con una offerta più attenta ma anche una domanda più responsabile.