Quando si sente parlare di sovranità alimentare si fa riferimento al controllo politico necessario ad una comunità nell’ambito della produzione e del consumo degli alimenti. Gli abitanti del Friuli Venezia Giulia sono in grado di provvedere a sé stessi producendo il cibo di cui necessitano? La risposta è no. Ciò significa che se per qualche motivo le importazioni alimentari venissero bloccate, si rischierebbe letteralmente di morire di fame.

Come possiamo affrontare una simile ipotesi?

Riappropriandoci dell’agricoltura, non di quella intensiva monocoltura che strangola i coltivatori/imprenditori – facendoli dipendere dalle dinamiche internazionali – bensì di quella legata alla specificità delle terre locali, aggiungendovi concetti come ‘biologico‘ e ‘indotto turistico‘.

Queste le parole, e i fatti?

Sicuramente si può ricorrere agli incentivi, ma inseriti in un contesto di controlli e con una visione chiara su quale debba essere il futuro di queste terre e di questa società. Se non si contestualizza questa manovra di aiuto, si corre infatti il rischio di ritrovarsi coi soliti contributi a pioggia che non incidono o, peggio, favoriscono i soliti noti.

Si può intervenire con un’adeguata formazione, proponendo specifici programmi didattici nelle scuole di ogni grado e genere (penso alle ore di educazione civica o di educazione alimentare) e negli istituti agrari con approfondimenti sulla qualità dei cibi e su metodi ‘non convenzionali’ di coltivazione.

Si può spingere sulla promozione, per esempio con campagne pubblicitarie mirate o esempi concreti. A tal proposito immagino orti sociali messi a disposizione dai Comuni (e questo già avviene) accompagnati da corsi di formazione per imparare ad utilizzare tecniche di coltivazione biodinamiche.

Se si vuole, gli argomenti non mancano.

Numerose sono le forze politiche che hanno inserito questi concetti nel proprio programma elettorale. Vedremo chi passerà dalle parole alle proposte concrete.