Ieri sono intervenuto in commissione AGRI in relazione al settore delle bevande spiritose/alcoliche che rappresenta sia una punta di eccellenza delle produzioni europee sia un settore commerciale florido, che influisce in modo estremamente positivo sia sulla bilancia commerciale comunitaria che sull’occupazione.Infatti, Infatti ben l’8% delle esportazioni agroalimentari è coperto da questo settore e occupa oltre un milione di persone.

Innanzitutto cosa sono le bevande definite come “spiritose”? Sono prevalentemente distillati, acquaviti e liquori.

Questo settore è da considerarsi come una punta di eccellenza delle produzioni europee e commercialmente influisce in modo estremamente positivo sia sulla bilancia commerciale comunitaria che sull’occupazione. Infatti, ben l’8% delle esportazioni agroalimentari è coperto da questo settore.

Il regolamento 110/2008 che è stato scritto a suo tempo per definire i criteri per la produzione, la designazione, la presentazione, l’etichettatura delle bevande spiritose, nonché la protezione delle indicazioni geografiche. si è dimostrato in questi anni uno strumento complessivamente efficace, e sono perciò d’accordo che il suo adeguamento al quadro normativo del Trattato di Lisbona debba avvenire senza alterarne sostanzialmente il contenuto.

Forse, alla luce dei tanti conflitti che in questi anni si sono verificati per casi di omonimia tra produzioni tradizionali locali differenti, bisognerebbe invece lavorare meglio, a tutti i livelli (locale, nazionale, comunitario) per migliorare lo scambio di informazioni, la collaborazione e la cooperazione, al fine di evitare che delle norme buone vengano poi invece applicate in modo rigido e, alla fin fine, controproducente. Questa è une riflessione più ampia, che vale per le bevande spiritose ma anche per gli altri settori, come quello del vino. Penso al caso della mia regione che anni fa, proprio a causa di questa estrema rigidità, si è vista privare dell’utilizzo del nome Tocai per un vino dalla tradizione secolare, che faceva e fa parte dell’identità di questa terra, per la sola sfortunata coincidenza di un’omonimia con un prodotto completamente diverso proveniente dall’Ungheria.

Un principio che ritengo fondamentale e che a mio avviso sta al di sopra di tutto, è che l’attenzione alle esigenze dei produttori deve essere ben coniugata con quella per la necessaria tutela dei consumatori.
Il settore delle bevande spiritose gode di una disciplina specifica, con regole particolari e disegnate appositamente per far fronte alle peculiarità di queste produzioni. Dobbiamo però esigere che questa specialità sia legata, anzi sia una conseguenza, dell’altissimo livello di qualità, di rispetto delle tradizioni e del valore storico che rappresenta il vero valore aggiunto del settore. Condivido perciò appieno disposizioni come quella dell’art. 3 del regolamento che ribadisce che l’alcool utilizzato nella preparazione di queste bevande debba esclusivamente essere di origine agricola.

Sul fronte delle informazioni al consumatore, poi, credo sia il caso di aprire una riflessione sul tema dell’indicazione della provenienza dei componenti della bevanda. Credo sia interesse di tutti.
Mi rendo conto che chiedere di includere nell’etichetta queste informazioni rappresenti un onere eccessivo per i produttori. D’altra parte però sarebbe il caso che questa indicazione fosse presente almeno per quei componenti che potremmo definire “preponderanti”, o che costituiscono la parte più significativa del prodotto finale.