In questi mesi la commissione di inchiesta sullo scandalo emissioni che ha coinvolto la Volkswagen ha svolto il suo lavoro con impegno e dedizione, ascoltando esperti e portatori di interesse, lavorando insieme per scoprire se la Commissione Europea e gli Stati membri fossero a conoscenza dei trucchi della casa automobilistica tedesca. Ma il nostro lavoro risulta inutile se quelli che dovrebbero facilitare il raggiungimento della verità con le loro testimonianze, in realtà, lo ostacolano.

Le notizie di stampa di questi giorni (diffuse, tra gli altri, dal quotidiano britannico The Guardian) dipingono un quadro ancora più inquietante di quello che avevamo di fronte a marzo, quando la commissione di inchiesta è stata costituita. Ovvero che i sospetti che la casa automobilistica stesse frodando erano presenti ben 5 anni prima delle rivelazioni dell’Agenzia per la Protezione Ambientale degli Usa.

Marco Zullo M5S Europa emissioni truccate dieselgate volkswagen

Ad aprile, proprio nella commissione d’inchiesta sul dieselgate, il Direttore della Politica di Sostegno del Centro Comune di ricerca (CCR) – servizio di ricerca scientifica interno della Commissione Europea – Delilah Al Khudhairy, dichiarò che il CCR non aveva nessuna informazione concreta che le case automobilistiche avevano installato dispositivi di manipolazione dei dati delle emissioni.

Ma le rivelazioni di stampa dicono l’esatto contrario. Un report inviato dal CCR alla stessa Commissione Europea nel 2010 avvertiva che i test effettuati lasciavano presagire una possibile frode da parte di una casa automobilistica – che non viene citata dai quotidiani – sulla misurazione delle emissioni.

Nel suo rapporto, il CCR descrive il funzionamento di un dispositivo sospetto che assomiglia tanto a quello della Volkswagen finito nel mirino delle autorità statunitensi.

Ma nessuno a Bruxelles se ne volle occupare. Nemmeno se, nello stesso anno, una nota del dipartimento per l’ambiente dell’Ue (DG Envi) affermava che le “strategie per truccare” i test rappresentavano “un’importante preoccupazione”.

Senza contare che nel 2013, un rapporto sempre di DG Envi sull’inquinamento atmosferico parlava di “crescenti prove di pratiche illegali” da parte dei marchi automobilistici per truccare le emissioni.

Eppure, nessuno si è mosso. E gli stessi soggetti, ascoltati nella commissione di inchiesta del Parlamento Europeo, hanno negato di essere a conoscenza di queste pratiche.
Ma non basta.

Il quotidiano britannico porta alla luce una mail del novembre 2014, dove Karl Falkenberg, direttore generale del dipartimento Ambiente della Commissione, chiede al suo omologo della direzione Industria, Daniel Calleja Crespo, di indagare le discrepanze tra le emissioni di ossidi di azoto in laboratorio e su strada, perché “uno nuovo studio dimostra che le nuove auto diesel Euro 6 producono in media 7 volte più NOx di quelle permesse dai test di laboratorio”.

Falkenberg era convinto che le case automobilistiche agissero illegalmente spegnendo il sistema di controllo delle emissioni a determinate temperature o se il veicolo avesse bisogno di più potenza.

“Noi continuiamo a credere – spiegava Falkenberg – che la Direzione generale Imprese e Industria della Commissione Ue dovrebbe indagare la regolarità di certe pratiche ampiamente documentate dal CCR e altri, ad esempio, che certi produttori implementino tecniche di riduzione delle emissioni che vengano però disattivate ​​a basse temperature o quando il veicolo necessita di alimentazione aggiuntiva”. Secondo la lettera, non era la prima volta che Falkenberg sollecitava un’indagine. Ma Calleja non accolse la sua richiesta.

Queste rivelazioni pesano come macigni sulla credibilità dell’Europa. E la commissione di inchiesta creata per far luce sul dieselgate non potrà non tenerne conto se vorrà davvero informare i cittadini su tutto quello che è accaduto.

 

LEGGI COSA SUCCEDE NELLA COMMISSIONE D’INCHIESTA SUL DIESELGATE https://bit.ly/28OHzIM

LE EMISSIONI AUTO SONO DAVVERO QUELLE DICHIARATE? https://bit.ly/1UKaDFq