Le pratiche commerciali sleali in agricoltura ledono i due anelli deboli della catena: consumatori e piccoli produttori. A guadagnarci è la grande distribuzione. Per contrastare questo fenomeno serve un controllo forte. Ma la Commissione Europea insiste nel dire che un’autodenuncia volontaria da parte di chi froda sia sufficiente. In quale sistema utopico le grandi catene si autodenunciano per favorire i piccoli?

Ecco il mio intervento in Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo:

La questione delle pratiche commerciali sleali nella filiera agroalimentare è nota da anni. Oggi siamo tornati sul tema, perché stiamo vivendo il fallimento delle iniziative a titolo volontario. Non si può continuare in questo modo. Dobbiamo prendere una decisione e fare in modo che questa volontarietà venga meno.

Queste pratiche vanno a ledere gli anelli deboli della catena. Il primo è quello dei consumatori, il secondo quello dei produttori. Oggi approfondiamo l’aspetto dei produttori.

Il produttore è anello debole a livello economico e organizzativo. Non riesce più ad avere una forza contrattuale per contrastare lo strapotere della grande distribuzione. Spesso e volentieri si trova a subire delle condizioni contrattuali sleali. Condizioni inaccettabili che non gli garantiscono più neanche la sopravvivenza.

E’ assolutamente necessario che in questo contesto l’Europa dei 28 torni ad essere unita nell’aiutare il settore agricolo e sui attori. Altrimenti, a queste condizioni, il settore agricolo non ha più senso di esistere.

Il settore agricolo, al di là della produzione, si fonda su commercializzazione e distribuzione. Per questo è necessario che l’iniziativa del Parlamento Europeo fissi delle linee guida, dei principi, delle norme minime a cui gli Stati membri dovranno adattarsi. E in questo processo dobbiamo fare in modo da non buttar via quello che ogni Stato Membro ha fatto di buono. Dunque, sì a nuove direttive, ma non perdiamo le buone pratiche realizzate in ogni singolo Paese.